
Quindici tavoli, quindici pezzi diversi, che diventano un’unica storia.
C’era una volta un gruppo di persone che doveva costruire qualcosa insieme. Nessuno aveva tutto. Ognuno aveva solo un pezzo.
Il primo arrivò con una chiave, ma senza sapere quale porta aprisse.
Il secondo portò una bussola, ma nessuna strada da seguire.
Il terzo mise sul tavolo una corda, utile solo se qualcuno l’avesse afferrata.
Il quarto aggiunse un bullone, ma mancava la vite.
Il quinto posò una conchiglia, bella, ma senza una storia.
Il sesto tirò fuori una matita, senza disegno.
Il settimo portò una lente, capace di vedere vicino ma non lontano.
L’ottavo aggiunse un bottone, piccolo e quasi invisibile.
Il nono mise un ago, che da solo sembrava solo pungere.
Il decimo portò un pezzo di legno grezzo, tutto da immaginare.
L’undicesimo depose una pietra liscia, paziente e muta.
Il dodicesimo arrivò con una candela, ancora spenta.
Il tredicesimo portò una molletta, che da sola non stringeva niente.
Il quattordicesimo aggiunse un filo di rame, che senza contatti non portava energia.
Il quindicesimo posò una piccola chiave inglese, utile solo con la mano giusta.
Guardati così, quegli oggetti non avevano alcun senso. Troppo diversi, troppo slegati, troppo “pochi”.
Ma quando decisero di usarli insieme, tutto cambiò: la chiave trovò la porta, la bussola una direzione, la corda un’altra mano, il bullone la sua vite, la matita un’idea, e coì via.
E si capì una cosa semplice: e cioè che nessuno basta da solo. Ma insieme succedono cose uniche, cose che altrimenti non accadrebbero mai.
E’ così che abbiamo deciso di dare a ogni tavolo il nome di uno di questi oggetti.
Per ricordarci, per tutta la sera e oltre, che non siamo qui per “mescolarci, semplicemente, ma per completare” quello che manca all’altro.
Quindici tavoli, quindici pezzi diversi, che stasera — e non solo stasera — diventano un’unica storia.
18 dicembre 2025










